Dott. Vincenzo Indrizzi
Medico Chirurgo - Specialista in odontostomatologia e protesi dentarie
Dal reimpianto-trapianto dentale all'impianto bio-alloplastico
Chirurgia e Implantologia

(ESTRATTO)

Introduzione

Molto si è scritto in questi anni sulle tecniche del reimpianto e trapianto dentale semplice che corre l'obbligo di pensare che, forse, nulla si può aggiungere a ciò che autorevoli A.A. hanno più volte analizzato.

Qui si vogliono illustrare alcuni accorgimenti tecnici ed operativi che in apporto a tali metodiche favoriscono un loro migliore e più duraturo utilizzo, come l'impiego dell'impianto bio-alloplastico, dello splintaggio e dei ponti di maryland.

Le innovazioni apportate si sono dimostrate utili come coadiuvante di tali tecniche, al fine di risolvere le complicanze che spessissimo alterano l'esito di tale intervento, in primis il fenomeno della rizolisi radicolare. La letteratura riporta infatti numerosi insuccessi: nel 1959 Belas riportava un 41% di insuccessi nel controllo a 5 anni di elementi reimpiantati. Nel 1965 Deeb vide che tale rizolisi toccava percentuali del 90% nei casi in cui era stato rimosso il legamento alveolo-dentale mentre, si riduceva al 26% nei casi in cui era stata mantenuta la sua integrità anatomica; infine Grassman nel 1982, arrivò ad una percentuale di appena 18% di insuccessi per rizolisi.

Al fine di eliminare le evenienze negative del reimpianto-trapianto semplice ed usufruire al contempo dei numerosi vantaggi di tale tecnica, come:

  • ripristino della chiusura fisiologica al colletto del dente con conseguenti vantaggi estetici e parodontali;
  • economici, perché non bisogna commissionare alcuna protesi;
  • funzionali, in quanto il risultato funzionale è sicuramente più confacente alla naturale fisiologia dell’apparato stomatognatico, superiore a quello riproducibile con protesi.

Sono stati fatti numerosi tentativi di utilizzazione dell'impianto bio-alloplastico come nuovo presidio terapeutico.

Tale tecnica implantologica può infatti essere utilizzata: a) nel riposizionamento di denti avulsi per traumatismi in giovani soggetti; b) nel recupero di denti affetti da parodontite apicale cronica in cui il trattamento endodontico non abbia dato esito positivo; c) nel recupero di denti con fratture radicolari alte che pregiudicherebbero l'ancoraggio dell'elemento stesso; d) nel reimpiantare, in posizione utilizzabile, elementi dello stesso paziente, sovranumerari, ottavi, el. inclusi; e) per impiantare elementi ceduti da un donatore (omotrapianto), previo test di istocompatibilità (Silvestrini, Gibelli, Matteucci '1969).

L’impianto bio-alloplastico

L’impianto bio-alloplastico è l’associazione di un impianto metallico (alloplastico: viti, ago di Scialon, filo di kirschener, lamine) con un elemento dentario avente periodonto integro in modo tale che questo renda possibile la ricostruzione dell'attacco epiteliale determinando la chiusura fisiologica tra cavo orale, tessuti connettivali ed ossei perimplantari.

Metodica operatoria

La tecnica operatoria, benché vari a seconda della patologia orale presente e, del manufatto metallico impiegato, può essere schematizzata nei seguenti punti:

  • estrazione dentale;
  • alesaggio dei canali radicolari tale da accogliere la porzione più superficiale del manufatto metallico e lavaggio con ipoclorito di sodio, acqua ossigenata, soluzione fisiologica degli stessi;
  • cementazione all’interno del canale radicolare del manufatto metallico (ago, filo di kirschner) debitamente dimensionato in diametro e lunghezza, utilizzando per la parte radicolare cemento all’ossifosfato e per la parte coronale una resina composita;
  • immissione del dente così preparato in soluzione fisiologica diluita con antibiotici;
  • reimpianto del dente preparato nell’alveolo e, fissazione dell’elemento con doccia di resina provvisoria ferule metalliche per tre settimane (le varie fasi sono illustrate nelle fig. 1, 2, 3, 4, 5).

Fig. 1

Fig. 2

L’esito positivo dell’intervento è legato alla prevenzione e al trattamento delle possibili complicanze siano esse precoci o tardive che ne possono scaturire. Ricordiamo tra le prime la reazione granulomatoide da corpo estraneo (Matusow) con i suoi vari eventi (edema, dolore e febbre) ed i fenomeni infettivi perimplantari ad opera di germi provenienti dal cavo orale.

Al fine di prevenirle si è operato in modo tale che il tessuto connettivo peri impiantare fosse ricostruito più celermente possibile e che durante tali fasi operatorie fossero evitati inquinamenti nella sede impiantare ad opera dei secreti salivari. Per tale scopo abbiamo posto nell’alveolo un tampone di garza sterile imbevuta di soluzione fisiologica con antibiotici ed inoltre a somministrare ai pazienti una copertura antibiotica a largo spettro per almeno 5 gg. ed antiflogistici non steroidei.


Fig. 3

Fig. 4

Quanto sopra ci porta a considerare le complicanze precoci come l’evento meno preoccupante per la riuscita degli impianti bio-alloplastici, tesi confermata d'altro canto dall’esperienza di numerosi altri autori.

Ciò che maggiormente preoccupa invece, sono le complicanze tardive. Tra queste infatti ricordiamo la rizolisi e l’anchilosi la cui comparsa è legata alla non integrità del legamento alveolo dentale.

Durante l’avulsione dell'elemento, parte di tale legamento resta adesa alle pareti alveolari e parte allo strato cementizio del dente; a reimpianto avvenuto l’interstizio tra le due porzioni viene colmato da coagulo ematico e quindi grazie all'apposizione di tessuto connettivo, in 15-30 gg. si ha la ricomposizione del ligamento alveolo dentale e la restituzione dell’elemento alla sua fisiologica mobilità

Se viceversa il periodonto non viene rispettato il tessuto osseo alveolare entra direttamente in contatto con lo strato cementizio, attivando i fenomeni di osteo-clasia e, successivamente di osteo-sintesi che, provvedono a riassorbire la radice dentale in toto e a sostituirla con tessuto osseo. Questo porta all'anchilosi dello spazio articolare alveolo dentale ed in alcuni casi alla formazione di un vero sequestro osseo con conseguente caduta della corona per traumi modesti, residuando in loco il manufatto metallico di supporto.


Fig. 5

Durante le fasi di preparazione operatorie (che devono essere più veloci possibili) bisogna prestare molta attenzione a non ledere le fibre del legamento parodontale. L'elemento dentale deve essere conservato in ambiente sterile immerso in soluzione fisiologica evitando l’uso di disinfettanti ipertonici capaci di far precipitare le fibre proteiche del legamento.

Non sempre è possibile rispettare tali procedure a volte, infatti, l'alveolo è ricco di tessuto di granulazione infetto, oppure è sede di processi cicatriziali in fase avanzata per i quali è necessario un profondo courettage alveolare, oppure il dente avulso è mal conservato dal paziente.

Queste sono tutte evenienze che determinano la completa necrosi dell'unità alveolo-dentale e la rizolisi dell’elemento reimpiantato.

Al fine di prevenire tale indesiderata complicanza, recentissimi studi, valorizzano il sempre più frequente uso delle amelogenine che inducono una sorta di differenziazione embrionale nella ricostruzione di strutture parodontali danneggiate, consentendo di ottenere spesso risultati sorprendenti.

Esistono studi che hanno ribadito l'importanza di tutelare il cemento radicolare cellulare e acellulare al fine di ottenere successi nei reimpianti dentali.

Un dente estratto per motivi ortodontici, ripulito per metà dal cemento e reimpiantato nell'osso a tre mesi mostrava la formazione del legamento solo nella parte radicolare non trattata ed anchilosi e rizolisi della zona levigata.

Nei casi di impianto bio-alloplastico da noi effettuati, abbiamo però notato che, malgrado i frequenti e spesso imponenti fenomeni di rizolisi, l'elemento dentario resta stabile finché tutta la radice è stata riassorbita.

A questo punto la corona dentaria si mobilizza e viene estratta, ma spessissimo il filo di Kirschner resta stabilmente infisso nell'osso.

Questa stabilità sembra dovuta al fatto che il tessuto osseo che ha gradualmente sostituito la radice in via di riassorbimento, si è adattato intimamente al manufatto metallico, in assenza di fenomeni infiammatori od infettivi non rari negli impianti alloplastici immediati.

Avendo notato ciò abbiamo pensato di utilizzare tale filo come supporto per una corona artificiale cioè come un vero e proprio impianto alloplastico.

Trauma dento-facciale con reimpianto bio-alloplastico e splintaggio

Nei casi successivi abbiamo pertanto provveduto ad infibulare l'elemento dentale con un filo di Kirschener che si estendeva il più possibile coronalmente, in modo da essere utilizzato più agevolmente dopo l'eventuale perdita della corona.

Ciò nonostante è prevedibile, a tal punto, che anche l’impianto bio-alloplastico, pur permettendo una permanenza maggiore della corona naturale in situ, rispetto al reimpianto semplice, non possa da solo essere definitivamente risolutore.

Per tale motivo abbiamo utilizzato in alcuni casi d’impianto bio-alloplastico e di reimpianto semplice, due metodiche che la tecnologia dei materiali ci ha messo di recente a disposizione.

La prima è il così detto ponte di Maryland che, applichiamo nel caso che le radiografie di controllo a 6-12-18 mesi, ci lascino intravedere una guarigione per anchilosi ed accertino il verificarsi della rizolisi.

Avulsione e reimpianto bio-alloplastico di canino incluso

Il manufatto si compone essenzialmente di uno o più denti artificiali che si ancorano agli elementi naturali contigui a mezzo di alette metalliche previa mordenzatura elettrolitica del metallo e fissaggio a mezzo di speciali resine alla porzione di smalto mordenzato corrispondente.

La stessa tecnica si applica per denti parodontopatici costruendo dopo le opportune impronte una ferula in fusione da applicare sulla faccia linguale degli elementi pretermobili, ottenendo così il bloccaggio degli stessi.

Analogamente procediamo per il mantenimento di corone naturali di elementi reimpiantati la cui stabilità, sia compromessa dai fenomeni di rizolisi già descritta.

In questi casi blocchiamo preventivamente gli elementi con uno scudo in resina posto sulla faccia vestibolare che asportiamo dopo aver fissato la ferula Maryland sulle facce palatine o linguali.

La seconda tecnica da noi utilizzata è quella dello splintaggio; tale presidio ci permette di bloccare la corona del dente reimpiantato agli elementi dentali contigui a mezzo di fili metallici o in lana di vetro e resine composite.

Conclusioni

I progressi della terapia farmacologica, capaci di ovviare in prima intenzione alle complicanze precoci dei reimpianti dentali, associate alle tecniche operatorie fin qui illustrate, alle modifiche delle stesse che la sperimentazione ci ha dettato, a volte non ci aiutano ad impedire l’evento indesiderato della rizolisi ma indubbiamente ci permettono di prevenire e rimediare a quelle complicanze che di questo evento sono la conseguenza.

Alla luce di ciò riteniamo necessario incrementare l’utilizzo della metodica di reimpianto e trapianto dentale al fine di migliorare la prognosi di denti parodontopatici, inclusi o fratturati, specie nei giovani pazienti.

Considerando inoltre il fatto che tale metodica con l’ausilio delle tecniche d'impianto bio-alloplastico, di splintaggio e dei ponti Maryland ci permette di conservare la funzione e l’estetica delle arcate dentarie del modo più fisiologico e, che ci permette di trattare anche elementi nei quali non siano stati rispettati, per i più svariati motivi, i principi di tempestività dell'intervento e di rispetto delle strutture periodontali, riteniamo giusto auspicare una maggiore conoscenza da parte delle strutture, mediche d’accoglienza e, degli stessi pazienti, sulle possibilità che la chirurgia orale ha messo loro a disposizione per risolvere tali patologie.

Vincenzo Indrizzi e Coll.